EMANUELE PANDOLFINI nasce a Palermo il 7 aprile del 1929.
All'età di soli 3 anni, successivamente alla perdita del padre, rimane vittima di una caduta che lo costringe in ospedale per quasi 9 anni.
Dimesso dal nosocomio all'età di 12 anni, si ritrova nella nativa Palermo, in piena guerra, seguito solamente dalla madre.
Sfruttando la sua manualità e le sue capacità nel disegno, attitudini rivelateglisi in quel lungo periodo di degenza ospedaliera, entra, come intagliatore di casse funebri, in una delle molte botteghe artigianali che sorgono nel capoluogo dell'isola.
A diciassette anni perde anche la madre e da quel momento, non potendo fare affidamento che sulle sue proprie forze, passa ad intagliare i mobili, compiendo così un piccolo salto di qualità e riuscendo ad aprire una propria bottega, conquistando una relativa autonomia.
Compiuti i 18 anni segue un corso di scultura all'Istituto d'Arte e si avvia nello stesso tempo alla pittura.
Entra quindi all'Accademia di Belle Arti, dove studia sia scultura che pittura: la scultura con Filippo Sgarlata, lo scultore e medaglista di Termini Imerese, la pittura con Pippo Rizzo, il pittore futurista siciliano che dirige l'Accademia ed ha favorito l'iniziazione all'arte di altri giovani dell'isola, come Renato Guttuso e Nino Franchina.
Un lavoro fisso presso l'Ente della Riforma Agraria, nel quale dovrebbe collaborare alla realizzazione di un grande plastico per la diga del Belice lo sottrae alle difficoltà del caos del dopoguerra, consentendogli di continuare a seguire, nello stesso tempo, i corsi all'Accademia.
Apre un proprio studio, come scultore, e nel 1948 all'età di soli 19 anni si sposa e ha i suoi primi due figli, Sergio e Romilda.
Nel frattempo, il suo nome inizia a diventare noto negli ambienti artistici e intellettuali di Palermo. I primi successi gli provengono dalla scultura: nella mostra che viene allestita nel 1957 a Monreale ottiene il primo premio con una delle sue opere; successivamente ne conquista un altro alla quinta mostra di Arti Plastiche e Figurative di S. Flavia.
Nel 1959, espone per la prima volta con una personale di pittura alla galleria Flaccovio e nello stesso periodo esegue ritratti scultorei di personalità eminenti, tra cui il Cardinale Ruffini e lo scrittore Vitaliano Brancati, rivelando la sua notevole abilità di riprendere la figura umana.
In quegli anni, comunque, forse anche a causa del naufragio del matrimonio e della conseguente separazione, inizia a sentire che Palermo, per quanto ricca di fermenti, non può essere il suo traguardo ultimo, come non lo era stato per gli artisti isolani della generazione precedente alla sua che avevano puntato, con vario successo, su Milano e su Roma.
Decide quindi di puntare su Roma anche lui.
Giunge nella capitale nel 1961 e già nel marzo dello stesso anno ottiene di esporre a "La Bottega", la galleria che era stata appena inaugurata in piazza G. G. Belli con una esposizione di Sante Monachesi.
Nello stesso periodo realizza, ad iniziativa del Comitato siciliano per le celebrazioni dell'Unità d'Italia, un busto in bronzo di Garibaldi che viene issato in una delle principali piazze di Bucarest e sull'avvenimento, un documentario a colori della INCOM viene proiettato su tutti gli schermi nazionali.
Illusti personaggi tra scrittori, critici e colleghi s’interessano alla sua ricerca come il Premio Nobel Salvatore Quasimodo, il poeta spagnolo Rafael Alberti, Marcello Venturoli, Franco Miele, Renato Civello, Carlo Giacomozzi, Luigi Tallarico e innumerevoli altri ancora.
Per tutti gli anni 60 espone in innumerevoli gallerie in tutta Italia ed ottiene un interesse della critica che lo accompagnerà fino ai nostri giorni: l’editore De Luca pubblica una sua monografia di Giacomo Etna e la personale alla galleria "Artisti d’Oggi" viene presentata da Vito Apuleo, uno dei critici più apprezzati del momento.
La RAI nel programma "Ultimo quarto" documenta con un servizio curato da Renato Giani la sua ricerca pittorica e plastica e gli vengono allestite esposizioni personali nelle più prestigiose gallerie di tutto il territorio nazionale, come la Gussoni di Milano, la
Ghelfi di Verona
, l'Anthea, la Consorti, la Laurina e il Babuino di Roma, la San Michele a Lucca, e la
galleria della Biennale di Palermo
.
Nel 1970 il suo nome figura sulla copertina di una voluminosa monografia nella quale se ne ripercorre l'attività come pittore, grafico, scultore. Curato dal critico Elio Mercuri, il libro reca contributi critici di Giancarlo Fusco, Mario Lunetta, Mario Maiorino e Vito Riviello, nonché una testimonianza di Renato Guttuso che scrive:
"Sin da quando ho cominciato a vedere il tuo lavoro e a seguirne gli sviluppi, mi pare che tale lavoro si svolga sempre in questa continua dialettica tra passato e presente, in una interpretazione espressionistica, drammatica, sia della realtà presente, sia del mito. Esempio di questa tua capacità è il tuo tema più ricorrente: il toro; che è, allo stesso tempo, il toro di Pasifaee e il toro di Lorca e Picasso".
Sempre nel 1970, dal suo secondo matrimonio nasce il suo terzogenito, Neleo, e la sua attività si intensifica anche dal punto di vista della produzione grafica che rivela le sue formidabili capacità di incisore.
Agli inizi degli anni '80 si trasferisce dal suo studio di Via Laurina in Roma al nuovo studio/appartamento di Via Germanico.
Il cambio sembra influenzare in qualche modo il suo stile. E nelle sue opere, che si caratterizzano adesso per un utilizzo più vivido del colore, iniziano ad essere presentate figure ironiche e satiriche, caricaturali alle volte ai limiti del grottesco.
In quello stesso periodo, Pandolfini riscopre la sua innata capacità di cogliere l'essenza della figura umana e ritorna a dedicarsi con buona continuità alla ritrattistica, raffigurando con il suo stile inconfondibile persone comuni, personaggi dello spettacolo ma anche illustri personaggi politici dell'epoca.
Per tutti gli anni '90 prosegue con grande intensità la sua attività espositiva, che culmina nel '98 con una memorabile mostra alla storica galleria della "Cà d'Oro" di Roma che ottiene uno strepitoso successo di critica e pubblico, mentre la sua collezione critica continua ad arricchirsi del contributo di nomi di grande prestigio come Costanzo Costantini che su una sua monografia ne traccia una biografia fondamentale.
A inizio millennio, nel 2003, due antologiche gli vengono dedicate in Abruzzo: quella dell’Ente Manifestazioni Pescaresi presso lo storico teatro-monumento Gabriele D’Annunzio di Pescara, intitolata "Il Mito di Eva", e quella del comune di Pianella nell’ambito della VII edizione della Rassegna Ricerche Contemporanee curate entrambe da Leo Strozzieri.
Nel 2004 e nel 2006 riceve prestigiosi riconoscimenti alla sua opera con l’invito al Premio Sulmona, ove gli viene attribuita la targa del Presidente della Repubblica alla carriera e a Casoli Pinta di Atri dove risulta vincitore con l’opera entrata nella Pinacoteca civica.
Al premio "Peltuinum" di Prata d'Ansidonia ( AQ ) e al Premio "I sentieri dell’anima a L’Aquila" ottiene le medaglie d'oro e le sue opere, oltrechè far parte delle più prestigiose collezioni private, entrano in pinacoteche internazionali come quella francescana di Falconara Marittima e quella intitolata a “Corrado Gizzi” a Guglionesi (CB).
Emanuele Pandolfini prosegue la sua opera di pittore per tutta la prima metà del secondo decennio del 2000, fino a quando la malattia degenerativa che già lo affliggeva da qualche anno non gli consente più di dedicarsi alla sua opera con continuità.
Scompare il 21 ottobre del 2017 lasciando ai posteri la sua inestimabile testimonianza artistica e chiudendo di fatto l'epoca dei grandi artisti italiani dei primi del '900.